Scegliere l’università affidandosi ai fake

Decision making, ovvero il processo decisionale. Questo è sicuramente la spina dorsale di ogni percorso di orientamento, il filo rosso che collega tutte le tappe che in conclusione dovrebbero portare ad una scelta (nel caso di EduClip, quella del corso formativo/facoltà universitaria cui iscriversi). Questa serie di articoli esplora vari aspetti, alcuni parecchio sottovalutati, del difficile compito di #decidere.

Sommario

Facile dire fake

I  termini fake news, deepfake, e più in generale fake hanno ormai messo radici nel linguaggio comune. Quasi tutti sanno che si tratta di notizie e contenuti social fasulli o che comunque contengono una quantità di inesattezze sufficienti a distorcere la realtà. Quando si tratta di una “bufala” al 100%, la fake news è più facile da smascherare: se un unico sito web riporta la notizia dei canali di Venezia completamente ghiacciati, abbiamo subito il dubbio che di aver preso un abbaglio. Inoltre siamo più sospettosi fin dal principio, se il sito in questione ci dà l’impressione di non essere particolarmente affidabile. Ad esempio quelle pagine su internet costellate di box pubblicitari, a volte con vistosi errori di battitura o di sintassi e a cui interessa monetizzare sul numero di visitatori piuttosto che fornire loro un buon servizio; quel genere di siti fanno chiaramente uso di notizie fuorvianti ma che incuriosiscono e generano molti click. 

Un fotomontaggio usato su un sito di fake news (https://archive.is/p2jrB)

Ma non è su questo tipo di disinformazione che si concentra l’articolo del blog che hai di fronte. Per quello ti rimando ai consigli pratici che si possono trovare ad esempio sul sito dell’AGID.

 

Ci sono le fake news nell'orientamento universitario?

Quando si sceglie cosa fare dopo la maturità è improbabile cercare informazioni su siti inaffidabili, di solito si prendono come riferimento i canali ufficiali dell’università o agenzie serie tipo AlmaLaurea. A volte (raramente) questi siti possono riportare fatti imprecisi, visto che a tutti capita di sbagliare. Si tratta dunque di un rischio trascurabile rispetto a una fonte di inganno ancora più subdola, e molto difficile da smascherare… 

Qualcuno che ha accesso a tutti i nostri dati, conosce bene i nostri punti deboli e riesce a instillare delle “fake news” nella nostra mente; e questo truffatore gioca pure in casa, visto che si tratta del nostro cervello!

Il cervello umano infatti fa cose meravigliose ma anche lui è soggetto a strane forme di pregiudizio/preconcetto (in inglese bias) e inganni. Non lo fa in cattiva fede, certamente. A volte prende delle decisioni affrettate o vede le cose in modo approssimativo semplicemente per risparmiare energia: stiamo parlando di una “macchina” che consuma il 20% del nostro fabbisogno calorico quotidiano! Facendo le proporzioni in peso corporeo, un grammo del nostro cervello assorbe 10 volte l’energia che un grammo di fibra muscolare ha bisogno per funzionare… una differenza simile a quella tra il consumo di benzina di una Ferrari vs. uno scooter da 50cc. 

Gli inganni del cervello

Anche quando ci vengono presentate soltanto informazioni veritiere, la nostra mente può distorcere, togliere o aggiungere dei particolari. A parte la “pigrizia cerebrale” di cui dicevamo prima, giocano un ruolo fondamentale anche

  • fiducia
  • motivazione
  • autostima

Vediamo come…

Ciascuno di noi tende a credere di avere ragione... ma se fosse solo una questione di punti di vista? Questo tipo di preconcetti vengono spesso chiamati "bias".

Fiducia: a volte troppa, a volte troppo poca.

Fin dai tempi in cui i nostri antenati vivevano nelle caverne, l’essere umano tende a dare naturalmente fiducia ai membri del nostro gruppo e ad essere sospettosi nei confronti di chi proviene da caverne diverse dalla nostra. E’ una tendenza naturale ed evolutiva, che si è rivelata utile per la sopravvivenza in quei tempi lontani. Oggi siamo (quasi) tutti interconnessi e ha meno senso considerare in modo così squilibrato l’opinione delle persone di nostra fiducia rispetto agli “stranieri”. Ciò si condisce con gli stereotipi e i pregiudizi verso il diverso. 

Un esempio nel campo dell’orientamento scolastico? Leggendo la presentazione di un corso di laurea dell’università XYZ frequentata da un genitore o altre persone a lui care, lo studente Tizio potrebbe tendere naturalmente a giudicare il programma in modo favorevole anche senza verificare con attenzione i dettagli. Se Tizio è di Milano e si è creato un’immagine negativa del Italia meridionale, potrebbe leggere con maggiore diffidenza lo stesso piano di studi ma stavolta pubblicato dall’Università Federico II di Napoli. Senza che vi siano ragioni oggettive per pensare che quest’ultima sia un’università meno di valore della XYZ vista prima.

Un altro tipo di fiducia è quel senso di sicurezza che abbiamo quando siamo all’interno della nostra “caverna”. Come abbassiamo le difese con i membri del nostro gruppo, così anche quando ci troviamo tra le mura domestiche.  nel confort della nostra poltrona o divano, favoriamo un abbassamento delle difese cognitive e un minore uso del pensiero critico.

Motivazione: scavare nelle informazioni con troppo zelo

Essere motivati è di solito una buona cosa, ma ci sono anche degli effetti collaterali da tenere a mente. E’ la scoperta dell’acqua calda affermare che per le cose che ci appassionano tendiamo ad impegnarci di più, ma riflettiamo più a fondo sulle implicazioni rispetto alla scelta del futuro percorso di studi. Se ci sentiamo fortemente motivati ad iscriverci ad una certa facoltà universitaria, ben volentieri raccoglieremo un sacco di informazioni a riguardo. Questo crea una “asimmetria” nei dati a sostegno delle varie opzioni tra cui scegliere. Per esempio ci attrae l’idea di andare a vivere in una certa città, e dunque studieremo ogni dettaglio dell’ateneo che si trova lì. Al contrario, per altri corsi di laurea in città diverse non ci impegneremo altrettanto nel documentarci. Può andare anche peggio: siamo tanto intenzionati verso una particolare scelta accademica, da ignorare i dati negativi e continuare instancabilmente a cercare (su internet, nei colloqui orientativi, etc.) finché non troviamo le informazioni “giuste” che possano alimentare il nostro entusiasmo (v. anche qui sotto rispetto alla “profezia che si auto-avvera”). Poi quando è il momento di decidere, magari con tutta la famiglia riunita intorno a un tavolo, eccoci a presentare decine di recensioni positive rispetto alla facoltà che vorremmo fare, e pochissime a sostegno delle altre opzioni…

Un altro fattore motivazionale è legato al cosiddetto (dagli anglosassoni) narrative fallacy bias. A nessuno piace vivere nell’incertezza, osservare ciò che accade intorno a noi senza capirne i motivi. Per questo il nostro cervello trova volentieri una spiegazione agli eventi della nostra vita, anche quando non abbiamo abbastanza indizi a disposizione. Un esempio legato al mondo della scuola riguarda alcuni professori, pronti a spiegare il cattivo rendimento di uno studente con la spiegazione più facile da trovare: “ha preso l’insufficienza perché non sta mai attento in classe…”; e se il professore fosse giunto troppo in fretta alla conclusione? Influenzato dalla classica narrazione “lo studente che non si impegna” potrebbe aver ignorato degli elementi importanti che avrebbero portato alle cause reali: lo studente non stava attento in classe ma recuperava a casa prendendo lezioni private, i brutti voti erano causati da una forte ansia che non gli permetteva buone performance durante i compiti in classe…

Autostima: notizie come profezie che si (auto-)avverano

Le persone preferiscono ricevere informazioni che confermano il loro punto di vista e ciò in cui credono, “depotenziando” altre evidenze che siano invece contrarie. E’ un processo spesso inconsapevole che ha a che fare con l’autostima e il nostro bisogno di preservarla. Il nostro cervello sa che che se non avessimo autostima difficilmente troveremmo le forze per alzarci dal letto: credere che la nostra visione del mondo è sensata ci aiuta ad andare avanti. Vi immaginate se quotidianamente trovassimo indicazioni che tutto ciò in cui crediamo è un inganno? Che i valori su cui basiamo la nostra vita (incluse le scelte scolastiche!) sono sbagliati? Per questo c’è un forte bias nel modo in cui processiamo le informazioni: un dato che supporta le nostre convinzioni pregresse parte sempre avvantaggiato rispetto a uno in contrasto con le nostre aspettative, anche quando entrambi i dati provengono dalla stessa fonte. 

C'è un rimedio?

In generale, il primo rimedio contro i bias cognitivi è la consapevolezza e l’umiltà che nessuno di noi è obiettivo al 100% e il nostro cervello non è un computer immune ai bias. Una volta ammesso ciò, si può giocare il ruolo del – come si usa dire – “avvocato del diavolo” ma con una piccola variazione rispetto al copione classico: invece di impegnarsi a trovare le argomentazioni per smontare la nostra tesi, formulare prima la tesi opposta e poi cercare informazioni che la confermino. Un esempio: io potrei essere convinto che ascoltare musica mentre faccio i compiti mi aiuti a lavorare meglio. Forse mi piace illudermi che ciò sia vero, perché così ho una scusa per ascoltare la musica senza sentirmi in colpa che non mi sto concentrando abbastanza. Il modo classico per contrastare questo bias sarebbe cercare su internet “ascoltare la musica non aiuta a fare i compiti”. Ma sarà un’impresa ardua perché siamo molto affezionati all’idea che ascoltare la musica sia una cosa buona… L’approccio che propongo qui è di formulare la tesi “il silenzio migliora la performance quando si fanno i compiti”. Il concetto è lo stesso, ma avremo meno pregiudizi nel cercare dati che lo confermino! Un’altra alleata preziosa è la curiosità. Una grande molla che può spingerci dove d’abitudine il nostro cervello (per la “pigrizia” di cui dicevamo all’inizio) non avrebbe voglia di andare. C’è molta ricerca scientifica che dimostra i benefici di un atteggiamento curioso quando si tratta di raccogliere informazioni e non solo (purtroppo è quasi sempre in inglese, come questo articolo). Riprendendo il discorso della motivazione, si tratta in pratica di sfruttare la nostra naturale voglia di conoscere per motivarci anche in altre direzioni rispetto a quella di partenza.
E poi ovviamente si possono affrontare i bias in un percorso di consulenza universitaria, che può iniziare con un primo colloquio gratuito prenotabile da qui.

Per saperne di più, trovi maggiori informazioni (non fake!) anche su questa pagina del sito.

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