Di cosa parla l'indagine Eurostat
La notizia, uscita su varie testate nazionali, riprendeva una recente indagine statistica dell’Eurostat in cui si andava a misurare per ciascun Paese europeo la percentuale di giovani (età 20-34 anni) che dopo essersi diplomati o laureati nei 3 anni precedenti (2020, 2021 o 2022) hanno trovato lavoro nel 2023. Riscrivo le carattersitiche del campione per punti, in modo che risulti più chiaro:
- avere tra i 20 e i 34 anni
- avere conseguito, nei tre anni precedenti il 2023, qualunque titolo di studio secondario superiore o terziario: diploma di maturità, laurea, master, diploma ITS, etc.
L’indagine Eurostat riporta che in media l’83,5% di queste persone ha poi trovato lavoro nel 2023. Il che è una cosa buona se confrontato al dato di 10 anni fa, quando solo il 70% circa risultava occupato così a breve dopo il conseguimento del titolo di studi. Ma questa ovviamente è la media. Il risultato si può “spezzare” per avere maggiori informazioni. Ad esempio si possono distinguere i cittadini EU che hanno terminato la scuola secondaria da coloro che hanno ottenuto, sempre di recente, un titolo di livello più alto (incluso il dottorato). Questi ultimi hanno trovato lavoro in percentuale maggiore (87,7%) rispetto a chi aveva preso soltanto il diploma di maturità (tasso di occupazione del 78,1%). E fin qui nulla di sconcertante: chi prosegue gli studi oltre le superiori ha poi più probabilità di trovare lavoro, quindi relativamente più in fretta.
Italia ultima in Europa
La parte della ricerca Eurostat che ha più interessato la stampa italiana (ad es. La Repubblica, La Stampa e il Sole 24 ore) è ovviamente quella legata al nostro Paese, che è ben al di sotto della media complessiva dell’83,5%. In Italia soltanto il 67,5% trova lavoro nei primi tre anni dopo la fine degli studi. Il grafico del tasso di occupazione diviso per Paesi è impietoso:
Dietro il 67,5% dell'Italia
Nessuno dei giornalisti italiani (che io sappia) si è però scomodato a guardare cosa ci fosse dietro questo numero. E non per cercare di negare il problema di essere il “fanalino di coda” dell’EU, ma piuttosto per cercare di soppesare meglio la situazione. Proviamo a farlo (almeno in parte) in questo blog. Ho scelto tre diversi modi di raffinare l’analisi statistica (vedi sotto) ma prima mi sembra doveroso chiarire due questioni metodologiche.
Chi sono i lavoratori?
Sono le persone nella fascia d’età selezionata che hanno svolto almeno un’ora di attività remunerata durante la settimana in cui sono state intervistate. Oppure erano in ferie o in aspettativa per malattia, quindi non hanno svolto alcuna attività durante quei sette giorni ma stavano comunque nel contesto di un contratto di lavoro. La remunerazione è definita nel modo più ampio possibile: qualunque beneficio per sé e/o per la propria famiglia, quindi si configura come lavoro retribuito non solo quello con pagamenti in denaro ma anche per cui si ricevono compensi di altro tipo.
Cos’è il tasso di occupazione?
E’ la percentuale di lavoratori, ma non rispetto al totale delle persone nella fascia d’età selezionata. Infatti non vengono considerati coloro che sono impegnati in un percorso di studio/training/tirocinio. Dunque il tasso di occupazione è la percentuale di chi lavora rispetto a chi non lavora (né studia). Questi ultimi sono persone che
- stanno cercando un’occupazione,
- non la stanno cercando perché non sono nelle condizioni di poter lavorare (ad es. per condizioni di salute o disabilità),
- non cercano attivamente un’occupazione anche se nulla impedirebbe loro di lavorare.
La terza categoria, scritta così, sembra un gruppo di lavativi. Ma in realtà include persone che decidono di restare fuori dal mercato del lavoro per accudire i figli o un parente non-autosufficiente, che è decisamente più faticoso di molti lavori retribuiti! Ci sono però nella medesima categoria anche i giovani NEET (Non in Education, Employment, or Training) che dichiarano di non avere alcun tipo di impegno, né di tipo formativo né lavorativo.
Fatte queste premesse, vediamo qualche altro numero…
Livello occupazionale a seconda del titolo di studio
Le statistiche precedenti si riferiscono ai neo-diplomati di ogni tipo: scuola secondaria, di avviamento professionale, lauree brevi, master… Possono essere divisi in tre categorie, a seconda che il soggetto abbia acquisito
- un diploma di maturità da una scuola con preparazione generale (come può essere un liceo scientifico);
- un diploma da una scuola con preparazione vocazionale, ovvero professionalizzante (ad es. un istituto alberghiero);
- un master, una laurea, un diploma ITS, o qualunque altro titolo di livello terziario.
Anche scorporati in questo modo, i risultati vedono l’Italia sempre in coda. Nella categoria 1) proprio ultima, nella 2) penultima appena sopra la Bosnia-Herzegovina, nella 3) lasciandosi alle spalle anche Grecia e Turchia. Ecco la tabella che mostra il tasso di occupazione per un sottoinsieme di Paesi, assieme alla media complessiva per tutta Europa:
Donne e uomini
Le differenze di genere sono presenti in quasi tutta Europa, come dimostrano i dati aggregati dei 27 Paesi membri. Vi sono però eccezioni virtuose: non soltanto Francia e Germania, ma anche il Portogallo (tutti e tre evidenziati in giallo nella tabella qui sotto). L’Italia purtroppo non è fra queste. In particolare va evidenziata la disparità tra uomini e donne con un titolo di studio vocazionale: 66,1% di occupati contro il 56,1% mentre nella maggior parte d’Europa questo tipo di percorso scolastico porta a tassi di formazione simili tra i due sessi (la media è 81,7 vs. 80,0%) o addirittura maggiori per le donne (vedi la Francia). Nella tabella sottostante, tra i Paesi selezionati ci sono differenze simili o maggiori dell’Italia anche in Romania e Grecia (i dati dell’Irlanda non sono pienamente attendibili).
Numeri di consolazione
Cerco di finire con una nota di ottimismo, anche se non si tratta di un “bicchiere mezzo pieno”. Diciamo che ci sono forse due dita d’acqua per i seguenti motivi:
- il trend di occupazione continua comunque ad aumentare, dopo gli anni di crisi post-2009 (v. il grafico sottostante),
- l’educazione terziaria serve a qualcosa: il tasso di occupazione di chi ha completato un percorso di laurea/ITS nei precedenti 3 anni è 15,7 punti percentuali più alto di quello dei diplomati di scuola secondaria (75,4% vs. 59,7%).
Alla luce di tutto ciò, sarebbe da analizzare l’andamento del numero di NEET, visto che si tratta di una statistica complementare a quella presentata qui. Ma questo è un altro numero per un altro articolo…